Due Cento
Ho visto le nostre rovine, mi hanno guidata lì
al tramonto. Una visita veloce perchè non
ricordassi abbastanza. La memoria, la memoria,
che pigra megera, che madre spietata che allatta
fino a strozzare. Ho visto quello che dovevo vedere:
tre colonne di ossa, un prologo all'ara, il nostro letto,
la sedia che avrei voluto, un giardino, una stiva.
Una giugulare per capitello, tonico l'affronto come
un frontone, un rosone in mezzo ai roseti.
Tu non ami le rose. Non sanno come sia venuta
giù questa civiltà di due corpi dai grandi impieghi,
dalle dita voraci: dicono che io ti abbia voluto
così tanto da dimenticare la moltiplicazione con
cui il sangue diventa più rosso, che ti abbia
benedetto al punto da trascinare i pensieri
come agnelli a cui molare bene la testa,
una mannaia come mandriano.
Ho visto le nostre rovine, e l'antro che ti ho dedicato.
Sta proprio qui dentro, lo tengo nascosto,
è timido il tuo santuario, non ha oradi di apertura.
Un piccolo dio di poche preghiere e sconsacrato,
che non da miracoli e chiede perdono
per l'ingombro della sua aureola.