Due Cento cinquantadue
Questo è il momento: la nostra terra non
vuole nome, ma un sesso, e culle e granaio,
e gerbere o foschie, purchè la tua mano sia
di mia pertinenza nelle notti che ci peseranno
con gru di rughe e righe sul sonno.
Io e te prigionieri di un ghetto di ore oche, quelle
in cui vorrai il sole sfrattato ed il sale nel piatto.
Noi siamo un patto venduto a buon prezzo,
la rosa e la spiga, la pigiatura dal tino scosceso.
O amore che non sai come ci venne cucendo una
sera il destino, infittisci la trama, questo è il momento
del nostro svolgerci piano al compito che ci assegnarono,
senti la puntura della mostrina che comparirà
a missione compiuta: se avrà la mia pioggia,
sarà talco il tuo seme.