Due Cento cinquantotto
A che serve questo rauco sonaglio
al piano terra del cuore? Gli strapparono
l'ugola, infibularono la voce. Calma piatta,
al mio mare non vengono alture, nessun vagito
modifica l'onda, piuttosto ramarri dovrebbero
essere attorcigliarsi al mio senso come grumi
di vecchi aborti. Nessuno si scandalizzi!
A che serve uno spazio che non ha angoli
sazi, in cui il vuoto è tutto l'ordine? Nel mio liquido
nuotano tanti no ed il nodo è di casa, il battesimo
una bestemmia. Dovrebbero incidermi da parte
a parte, lasciar filtrare via da questo imbuto
l'occasione di un contenuto. A che servono
tante possibilità senza un indizio?
Cercatemi bene dentro la fune, deve esserci
un cappio, la botola, un fiume, qualcosa dove
si allenta più facilmente la vita e viene la
notte a dire il suo nome. Tanto di niente si
cuce il mio ventre, lui solo si specchia e vede
riflesso lo stesso deserto: niente germoglia
dove niente è semenza. La stagione più
vicina è sempre uguale dove sole
e pioggia sono gemelli.