Due Cento cinque
Ti aspetterò sveglia, non ho altri
incarichi, sono stata radiata all'alba,
scartata da tutti i mestieri che implicavano
la gioia come prima esperienza. La mia carne
non sa dire due di se stessa, ha una sola piazza,
un desiderio che le squilla come un campanaccio,
eppure è già persa. Non ha altre stesure, rientra
sempre agilmente nello stesso contorno.
E' un seme piatto della sua recrudescenza che qualche
volta compie lo sforzo di controllarsi la plancia e guarda
ai bagliori come a conferme di rotta. Non ha attracco, ma
una stiva leggera ed un muro come culla.
Ti aspetterò sveglia, non puoi toccare la mia attesa,
ma è l'unica a cui posso preparare il corredo,
allestire una stanza dei giochi. Non vagisce, ha
pochi mesi di impasto, certo meno di un feto, ma porta
il tuo segno, la lezione degli occhi. Io le conto i battiti
come fossero un solfeggio di ali, bramo i suoi calci,
fremo di indicazioni su come inventarne il cordone.
Le canto qualcosa che non l'addormenti: voglio senta
tutto il dolore con cui verrà al mondo
cercando l'intaglio che le corrisponde.