Due Cento due
MI piacevano i pomeriggi di votazioni, la x che cambiava
la giostra, la scuola bardata a giurato, la freccia di piume
a divinare il verdetto. Io stavo incastrata nel rosa della mia
gonna, le gambe puntavano in alto, le ginocchia frenate
dall'orlo, due ostie ossute sotto copertura.
Il giorno finiva allora bandito dalla voce dell'afa, io ancora
non conoscevo il tuo nome, ma sapevo di certe rapine
fatte dalle nubi ai danni del cielo. La gente si teneva
stretta la giacca nuova della domenica dopo la muta
della settimana, lo sferragliare dei turni, se i bambini
passeggiavano sotto il pino, era in attesa di una
confessione senza più fede. MI piaceva essere imbelle
alle stagioni, le amavo già tutte, ignoravo il baro degli
inverni e la scarsa educazione dell'estate. Mi avevano
però detto di un autunno che sarebbe venuto ad allestire
la scena, dicevano avesse fattezze d'azzardo.
Mi piacevano i pomeriggi di votazioni, il profumo
di legno sulle mani uscite dalle cabine, l'ultima finestra
tacitava il risultato, una tombola vinta dentro il paniere.
Due bandiere erano stese ad asciugare l'impazienza e
l'aria era più astuta del tempo. La sorte metteva
una taglia a chi sapeva indossarla meglio ma io
non avrei detto il tuo nome che anni più tardi
con la lentezza che mi compete di procastinarmi
la gioia indovinandone la carestia.