Due Cento novantacinque
Mia nonna sa di ferro, la morte ha un
percolatore mentre mani pachidermiche
di infermiere, zanne pallide di cotone,
le disossano la vita. Non trovo più i
fili, la marionetta sbanda, finite le alchimie
di resistenza, alle ampolle asciugano le
lingue.La sua carne è marmo più del
marmo, preparano la cerimonia, il nuziale
a cui sostituiranno un amante di legno.
MIa nonna ha l'odore della terra infilata
dalla pioggia, una sottana viola è
la pelle dalla nuca all'alluce. Il vento
non tocca più la sua testa arancione
di tinture, arancia sfitta dell'ultima
fotosintesi. ANche io, come lei,
mi adagerò ma non prima che
da questa cava venga via un altro
nome facendosi spazio nella folla
dei tessuti contratti.Sta là socchiuso
il mio sipario, lucernario aperto contro
il muro: dentro si provano i bis di attori
dilettanti, eterna prova generale
senza mai prima.