Due Cento novantanove

Speravo che qualcuno lo uccidesse, stanandone
l'invadenza da ariete, che giustiziasse il capro
e mi sciogliesse dal mostro che ha la sua
nicchia preferita fra il mio sterno e le mie
domeniche. Invece sta là e decide con quante
dita posso sorridere e con quante altre tagliarmi.
Se mi tendessero una trappola e ribaltassero,
si accorgerebbero della voglia di questo scuro
sonaglio che ho sotto la lingua, spierebbero
dalla mia bocca , come fosse la testa di un prigioniero ,
il battaglio che mi è stato fuso al cuore in un giorno
di inverno e che rintocca di rado.Si crogiola del
suo gingillo tutto il mio essere,è forse gemella del
mio respiro l'apnea, della luce la cecità.
Il nido non è che una tomba
quando manca la cura della vedetta.