Due Cento novantaquattro

Cosa ho che non ho? Forse mi manca
un pianale, un fondale capiente abbastanza
su cui poggiare la tua virtù, il tuo sangue,
la piantagione della tua discencenza. Forse
ho falle così generose che qualsiasi goccia
mi attraversi, trova facilmente la caduta dal
nido, ancora sfornita del getto capace di farla
portata. Cambiami allora la vite sbilenca,
il porfido incastrato al mio ventre e perfido
per l'assenza di porte. Cosa mi manca
per mancare? Una tasca da cui buttare
via la chiave? Una catasta di ossa
disposte a seconda  dei gusti, la pelle
a rivestirla, tovaglia su cui vanno
imbandite escoriazioni come graffiti,
sbendate le poche carezze, bandite
da una ferrea dieta di buona sorte.
Sincerità: cosa metteresti sotto
mio nome con sicurezza? Una stiva,
un righello, una penna, una piuma?
Che razza di custodia malnata è
mai quella a cui viene meno il coperchio?
A cui tutti possono sbirciare la polpa,
ridendo ampiamente per la foggia che
suggerirebbe certezza ed è  invece
butterata da un vermaccio beffardo?