Due Cento novantuno
Uccidetemi impalando il mio sterno, anche io fuggo
la luce. Sui miei seni stendete corone, croci e decapitazioni
d'aglio alla bisogna. Infilatemi una pastiglia d'argento sotto
la lingua, aspettate che deglutisca perchè lei cada a fondo,
più a fondo del posto in cui meriterei di andare. Non sprecate
pallottole, non scoccate grigi dardi lucenti contro la mia
mutazione in una cosa da niente. Una pasticca che abiuri
il suo talento,qualcosa che mi faccia catramare le budella
e ponga fine alla mia stanza: basterà questo.
Quando avrete fatto, spargete ciò che resta in maniera casuale,
i grumi d'impasto, se correttamente reimpastati, danno figliolanza,
proseliti ben disposti a lievitare. Voi abbiate cura anche di questo,
che ciò che sciogliete e rinnegate, non abbia più prosieguo e se un
po' di bene sono stata, conservatene la notizia solo per voi in un'ansa
d'osso, in un fratino di tessuto. Di me rimanga solo ciò che arrivò per
primo: bufera quando ero appena brezza, siccità per una sola
scossa di ardore.