Due Cento quarantatre
Ho un buco sotto lo sterno: ogni tanto anche le costole
si affacciano a salutarlo. Sembra un abbaino, una soffitta,
sta dritto, sta storto. E' morto. E' risorto. E' un balcone senza
veduta, una croce da cui non si scende. Nessuno sa quando
è arrivato, non si conosce la diga che ha ceduto, la mano che
l'ha traforato con finezza di cesello,sta lì aizzato come
un pennacchio, ha la leggiadria della bandiera incitata dal vento,
la fame del popolo, le fauci del nodo.Ho una camera oscura
dentro la schiena ed è lì che si forgiano meglio i miei gusti:
un treno di attimi tutti sbagliati, di sorrisi affaticati, di venute
sfocate. Sono io il mio danno, l'affanno, la perdita, il groppo:
non mi auguro mai di incontrarmi.
Stia lontana da me la verità dello specchio.