Due Cento quattro
Ti tengo il cuore pronto, una tana arredata senza
tante ambizioni, forse a gusto dei predatori.
Non godo di raffinate finiture, i bordi emaciano
la gioia in oblunghe chiazze d'attesa, dentro tutto
si annida come un malanno, ho lente stagionature,
stazioni in ritardo, una familare gestazione di errori.
Al posto di sedie ho sparpagliato tagliole, somigliano
a cani che mordono per trattenere. Ho fatto confusione con
i giorni di pulizia, conservato la polvere come testimonianza
degli ospiti, ho lasciato spalancati gli atri ingenuamente
giudicando giusto il primo ingresso, poi ho lavato via
le orme che non mi hanno soddisfatta.Adesso sistemo
il transetto che faceva da passaggio a livello ai candidati
migliori: lo tengo come ricordo, un confessionale senza
più mestiere, un mulino che non produce che scorze.
Lo sento il suo lavorio, gracchia e macina su belle,
adulanti proposte, divise in file ordinate, una lavagna
di buoni e cattivi. Ogni cosa qui dentro è impaziente di
essere usata, ha l'eccitata vergogna del ventre ancora
vergine e sta lì con la gola tesa come volesse infilare
la vita a mo' di collare. Di tanto in tanto ancora si offre
e crede sia amore il segno sulle lenzuola, esterrefatta
come fossero stigmate quelle due pieghe già in guarigione.