Due Cento sedici
Ora so che è una tortora il flebile manubrio a guida
della mattina, quando i pini sono ancora irretiti
dalla resina e la bocca della piazza mastica
l'ultima fetta di buio prima di battezzarsi al giorno,
e lo so grazie a te. Ora so il freddo colore del merlo
che spettina le palme senza tregua, il carteggio di piume
fra un davanzale ed un ramo, il traffico di becchi che
stanano la stagione più dolce. Nessuno mi farà
mai abbastanza domande sul tuo conto, non so schizzarti
con parole che bastino a fare la tua forma. So solo che
se mi allontano dal pensarti, c'è qualcosa sotto il mio
sterno che fa fatica a registrarsi correttamente, che
stona la giuntura e sbaglia ruolo. So che ho provato
a chiudere la porta al tuo nome, credendolo in combutta
con correnti moleste. Ma di quel momento ho ancora
ustioni a cui ogni altro tentativo simile va in pellegrinaggio.