Due Cento sei

Quanto sono orgogliose dei loro sistemi!
Hanno le bocche già intrise del nome,
festeggiano la presa dell'intonaco, per insegna
la coccarda sessuata sulla porta. Come sorelle
si scambiano complici pozioni, dosaggi e dispense,
ammiccano nel loro alfabeto, mescolano carte
di rosee previsioni: il naso da dio, la fronte da dama.
Poi mi guardano: hanno fiuto per il mio neo. Mi puntano
il ventre come fosse uno storpio in una classe di sani,
infilato per sbaglio nell'ora del banco.  Tentano di rivoltarmi
cercando il verso del mio montaggio, non leggono le
istruzioni della mia lingua, così fanno a turno, ognuna
ha il suo metodo. Se farò rumore, sarà certo per una
vite molliccia: non posseggo i dettagli della loro fortuna.
Mi annusano con il ribrezzo di un pasto morto: non c'è
niente più da cacciare in una carcassa. Girano a largo
come potessi contagiarle della mia acerbità: smontarne
la culla, il solaio, perfino la casa. E non sanno quanto
vorrei meritarmi il segreto della loro cuspide di carne.