Due Cento sessantacinque

Ho sfrattato l'inverno dai vestiti, il maledetto
era uscito per comprarmi ottobre e non è mai
rientrato con il conto del tempo sprecato.
La sua ultima valigia è nella tasca della
giacca più lisa, tolta anche quella sarà
un'altra stagione.  Potrò dimenticare i 
binari e l'agrifoglio eccitato sui dolci,
le promesse spiaggiate, lo stupido
circo dei venti con i loro numeri storpi
a storpiare gli alberi. Ho messo in
strada l'inverno, dovrei esserne fiera:
lui mi ha uccisa, non doveva farmi quello
che io potrei fare meglio. Eppure ancora
accarezzo una manica dal tessuto
spaiato, aspetto che si gonfi d'autunno,
che disdegni il frivolo alitare dello
scirocco. Andiamo! Io non sono così!
Non ho talento per gli abbandoni,  mi fa
penare ma anche pena in verità ora
l'inverno che mendica un tetto. Avvelenerei
giugno, luglio seguirà il feretro inciampando,
la spiga sbatterà sullo spigolo, sangue poi
morte, insomma dilanierei agosto
per dare nuovamente all'inverno una sedia.
Indosserei piume di lana nel cielo
dell'afa solo per riportarlo gelido
e smunto qui a casa.
Al caldo. Da me.