Due Cento sessantuno

L'ora  più triste ha il muso del pomeriggio, una zampa
di rosso gratta la sporta predata del giorno.
Per la solitudine un tumore che mesce è  la sera ed avanza
l'ombra, la grigia lucertola zampilla sfatta di sole
dalla bocca dei muri. E' quella l'ora in cui non so
come chiamarti, se destino o condanna, se forca
o melograno, bilancia o braciere.  Qualunque cosa
mi conduca al tuo fardello, fa bene le tue mosse,
ti ha spiato anzitempo e mi fa  pronta all 'aggancio.
Una faretra avida è la tua lingua che sfila
l'assaggio e dice amaro il pensiero di
una nuova distanza.  A piccoli morsi ho
dilaniato l'integrità, non ho pietà per me nè
per i tuoi piedi,  per quanto ancora grideranno
credendo di rivoltarmi, di disossarmi dalla fossa.
Io vado zigzagando la mia specie folle ed imbratto
il mondo del germinare adunco, acerbo, il forsennato
embrione  senza natale, verrà alla luce per dire
meglio il buio, la sposa è lutto, un solo vagito
è nero, già gravido dello spirare.