Due Cento settantasette
Venuta la sera stiamo io e le mie mani. Altrove
è ora di bocconi acconciati da nani per essere
innocui. Non un cigolio sulla savonarola delle
mie braccia, il netto ancora mi manca, sono
tara a digiuno, non una costola che venga via
dal mio incastro per farne un'altra più piccola
e nuova. Non uno sputo sul fango. Se conto le
ossa, sono le stesse, la carne sopporta una
clausura affacciata, i malleoli dragano passi
che nessuno ricopia. Il cuore è sempre puntuale
al dovere: il rubicondo impiegato sta fuori da
anni, aspetta e solo vorrebbe che al suo
toc rispondesse qualcuno, che finalmente
là sotto, nel ventre, si aprisse una porta.