Due Cento settantuno
Chi vuoi che prenda mai in gestione il mio affanno
di poche camere? Tutte hanno almeno una svista,
la felicità è l'ospite attesa, in congedo da cento e
più giorni. Ognuno prenota da me la migliore
partenza, sono in questo tutti puntuali, sembra
ci siano troppi spifferi nella mia carne, che il riposo
sia un precario , un disturbato da cui è meglio
sloggiare. Chi vuoi che si accorga della preparazione
di morte di cui gode tutto il mio corpo? Non vedi?
Sta immerso in un sogno mostruoso, si pasce di
rese, di angosce, di vecchi, ossuti talenti.
Ma dentro non custodisce, non cova, non cela.
Che vuoi che sia per me un'ora in più in
verticale se non la prova di una seconda
finzione? Ecco, inciprio il mio fosso e taglio
il nastro dell'impazienza. Alle porte delle stagioni
io sono sempre la stessa: una sola valigia,
non una macchia, un ritardo, non una voce più
tenera, una primula o anche solo una stella
a cui la gente dica che è mia per come sbadiglia.