Due Cento sette

Di me non avranno che questo: trenini di bocce nere,
binari senza scambio, colonne di parole in perenne
assedio, come scarafaggi a zonzo, la pagina contenta
del suo formicolio di blatte che, dette insieme, daranno
la fuga di una vibrissa molestata, la pugnalata dell'alveare
interrotto nel sonno. Si aspetteranno per anni la rossa
monotonia di un bel salotto, con i divani passati di vento,
la foto della festa, il divaricatore della tavola imbandita
come una tregua fra due giorni di turno. Pretenderanno
lenzuola confessate dalla macchia con dovizia e scadenza
regolare, pietanze viziose di fumo, calde come spose
insaziabili, gendarmerie di stoviglie in ordine di arruolamento,
fiori imbelli a macerare la bellezza in vasi da poco.
Niente di tutto questo abiterà le mie tasche: io sono quello
che leggete, ho nugoli di larve ancora in fasce, come stoppini
in attesa della fiamma, corpi ad antenne dritte
ad indovinare il segnale dell'infestazione.