Due Cento tredici
Avrei voluto un gomitolo tessuto ai ventricoli e agli atri comead
un fuso, magari una matassa, venuta in una sera di lana piena,
di afa, di maniche corte e cocomeri spurgati dalla lama della nera,
ossuta vitiligine. Avrei voluto essere nata quando il cielo è un monumento
alle stelle cadute e tante piccole croci scivolano giù senza impalare
la terra, una processione di lapidi lucenti su cui pregare i desideri.
Invece sono stata piantata con chicchi di gelo, pensata nei giorni più
brevi, servita con uno sparuto contorno di luce forestiera dopo il tiepido
galeone del mezzodi. Mi hanno cucita senza fretta, come non vi fosse
bisogno della mia carne entro una certa ora e potessi essere chiamata
in scena solo in caso di gravi guasti del protagonista. Ho la vita sospetta
di una nota a margine, sono una lente per stanare il neo dal rigo, se la
parola soffre, intervengo, ma non ho bende nè musica
se l'esecuzione è in salute.