Due Cento trentotto
A volte non so come chiamare le mie parole, eppure vengono,
randagie su zampe alterne a cui basta solo un verso e non il
nome sul collare. Sono una madre spezzata nella memoria,
io ne taccio il sesso ma le ho curate e so come si concederanno
quando la prima vampa le farà donne. Non do titoli alle mie cose,
che siano nobili o popolane, hanno i capelli sempre puliti e le vesti
in ordine, vengono fuori in file educate. Saranno da collegio o da
panetterie e fanno di mestiere la verità, un ordito fine di ciò che sento, che
mi cova in grembo con un'incubazione lenta per poi attaccarmi,
veloce e sveglia. A volte non so perchè ciò che dico resta sospeso,
forse non ho un bel cuore, o forse l'avevo ieri, e mi sembrava bello
mostrarlo in trono con il suo seguito di ancelle in virgola. Io sono questo,
la mia prole per cui non ho mai doglie, che tuttavia cresce, allattata
appena e sgambetta nera sulla mia pagina: un formicaio senza battesimo.