Due Cento ventuno
Ho sospettato venissi da catramature
moleste, non mi piacevano i tuoi bordi,
la flessione facile del tuo battere sul mio
levare, il modo in cui torcevi ai giorni
la parte malata fino a che non urlassero
per quella forzata, violenta pigiatura.
Ti osservavo come si osserva ciò che
attrae per come allontana, con una spilla
lucente di repulsione all'altezza del cuore ed una
sete mai sazia del tuo respiro.Ho chiesto di te
alle notti dei primi mattini insieme, come ad un marito
si domanda della giovane sposa, mi chiedevo quante volte
avrei dovuto perderti per sentirmi monca e quante altre
ancora recuperarti per essere così piena del tuo
imbarco da non avere suggestione per altri porti.
Ho provato, e sapessi quanto e come, a scusare il
baccello che ha protetto la tua sostanza, a perdonare
il lucchetto dei tuoi umori, la pula del tuo chicco.
Ma forse la scommessa tinta del mio amore è
questa ostinata agonia ristoratrice con cui tento
di maledire le tue tempeste per poi accoglierle
come il prodigio di una prodiga fiera dei venti.