E l'Angelo guardò la luna
E l'Angelo guardò la luna,
contemplandola come Venere sognante,
attonito e assorto, senza distoglier sguardo,
dacché, già, l'avea notata,
la notte, al suo usual incedere fatato,
mai rimirandola come in cotal momento.
Parea dipinto,
sì talmente immobile com'era, da parer finto,
tutt'uno, sopra l'esiguo scoglio che l'accoglieva.
Turbato, com'un innamorato, ebbro d'ardore,
ch'andava a intonar la serenata ch'avea nel cuore.
S'avesse avuto voce, per quel cantico d'amore!
Regina della notte, al palesars'in cielo,
enfasi e stupore, per l'astro incoronato d'alone luminoso,
che riflettea sul mar barlumi luccicanti a pelo d'acqua,
brillanti luccichii d'argento,
sopr'al candido riverbero, delineante strana rotta.
Rotta del desiderio... pensò l'Eccelso.
E l'Angelo guardò la luna,
pensando alla sua veste immacolata‐
Perpetuo, il suo scrutare solitario,
nel tempo suo ch'andava a terminare,
gioendo, di splendor ch'avrebbe perso,
non soffermandosi, quell'attimo d'eterno.