Hasse
Non porto buone parole per te, angelo nero; mi son cibata della mia speranza troppo a lungo benché, misero stolto qual sono, ho potuto rivederla ancora sul fondo di un’anima che sembrava morta da tempo.
Sei venuto con la pace in un palmo ed una freccia nell’altro; pronto a tender benevolenza e poi, nel silenzio atroce degl’occhi che non vedono, alle mie spalle piantasti una freccia; l’ennesima.
Il sobbalzo del mio cuore in una triste verità che tutt’ora celo a chi attenta con misericordia e passione ciò che di me resta e aleggia in questo petto depredato e straziato di ogni buon sentimento che possa solo infinitamente avvicinarsi a quel qualcosa che si chiama amore; l’inganno asettico dell’essere spregevole che mostri.
Spinto dal tuo malsano dolore per chi con m’è non ha legame alcuno se non le tue maledette labbra addietro abbandonate, venir svelto svelto e quatto tra le mie più intime segrete con dolci parole un ennesima volta ancora.
Quanto odio dovrò continuare a provare ogni qualvolta che attenti al mio cuore per poi ritirarti senza ritegno o pudore verso costui che dicesti di amare e poi che uccidi con tutto te stesso?
Nel tuo vil inganno i miei occhi non mentivano; se solo potessi dar ascolto un secondo soltanto a quello che porto ormai da troppo tempo, dovrei ucciderti senza esitare nemmeno per un secondo.
Allora prendo gli unici brandelli di quel che fui accanto a te e stavolta li getterò in pasto a Cerbero, che ne divorerà pezzo per pezzo fino a sparire.
E se mai tenterai ancora di varcare la soglia del mio cielo, scalfirò nei tuoi palmi il buio più nero e puro veleno.
Vi sarà l’aberrazione dal principio roseo dell’amore alla morte indiscussa del tuo nome.
E piango adirato sulle mie stesse parole; mordendomi la lingua, non voglio altro dolore.