Il balletto del carrello
perché guardi fuori?”
eppur nulla si muove
( flash )
ricordo quei convogli che, allora, avevano un’unica destinazione
( rincaso )
doppioni di pedoni indefiniti si sfiorano indifferenti
zattere sparute colme di giovani precari vagano naufraghe sull’asfalto dolente
quelli delle agenzie immobiliari ( i primi che ho avvistato a riva ) entrano in un bar per un fugace panino, quattro chiacchiere posticce sul pallone, sull’happy hour pomeridiano e poi come galli spelacchiati ri‐dentro le stie
(( quei pochi rimasti con un co‐co‐co‐(de) come da stia ))
e i vecchi non ci sono
“dove sono?”
alla Billa con il carrello della spesa, una lunga fila alle casse di cassa integrati, disoccupati, esodati, indignati
a quarant’anni si è già vecchi inservibili, rottamati come gli euro zero
e campare ( forse ) altri quarant’anni per il sorriso di giovani cassiere che come fate svaniscono in fitte e umide boscaglie accresce l’abbandono, l’isolamento
e con chi parli, allora, se non con il somalo e il suo elefantino nero che ti fissa muto?
anche lui sfuma nell’effetto flou di una cartolina della sua Africa
e i riferimenti cambiano, poi spariscono e il triste balletto del carrello ri‐inizia da capo
come una Maiuscola inizia facoltativamente una frase per poi chiudersi facoltativamente in un punto o in quell’ad libitum che tutto comprende nell’immobile disperata rassegnazione
( ri‐flash )
ricordo quei convogli che, allora, avevano un’unica destinazione