Il canto del miele
Il miele è la parola di Cristo,
l'oro colato del suo amore.
Il meglio del nettare,
la mummia della luce di paradiso.
L'alveare è una stella pura,
pozzo d'ambra che alimenta il ritmo
delle api. Seno dei campi
tremulo d'aromi e di ronzii.
Il miele è l'epopea dell'amore,
la materialità dell'infinito.
Anima e sangue dolente di fiori
condensati attraverso un altro spirito.
(Così il miele dell'uomo è la poesia
che emana dal suo petto addolorato,
da un favo con la cera del ricordo
creato dall'ape nell'intimità.)
Il miele è la bucolica lontana
del pastore, la zampogna e l'olivo,
fratello del latte e delle ghiande,
regine supreme dell'età dell'oro.
Il miele è come il sole del mattino,
con tutta la grazia dell'estate
e il fresco antico dell'autunno.
È la foglia appassita ed è il frumento.
Oh divino liquore dell'umiltà,
sereno come un verso primitivo!
Tu sei l'armonia incarnata,
lo spirito geniale di liricità.
In te dorme la malinconia,
il segreto del bacio e del grido.
Dolcissimo. Dolce.
Questo è il tuo aggettivo.
Dolce come il ventre di una donna.
Dolce come gli occhi dei bimbi.
Dolce come le ombre della notte.
Dolce come una voce.
O come un giglio.
Per chi ha in sè la pena e la lira
tu sei il sole che illumina il cammino.
Equivali a tutte le bellezze, al colore, alla luce, ai suoni.
Oh liquore divino della speranza,
dove anima e materia unite
trovano il perfetto equilibrio
come nell'ostia corpo e luce di Cristo.
È la superiore anima dei fiori.
Oh liquore che hai unito queste anime!
Chi ti gusta non sa che inghiotte
lo spirito d'oro di liricità.