Il castello
Maria incrocia l’estate:
Vi contempla i miei occhi e s’allontana.
Il mio racconto è un duro pianoforte
che si suona intorno un Etna rovente.
Ha scelto l’ombra di un albero fittizio
la nuotata nel cloro del laghetto
che incanala patetici lamenti.
Al castello, se la moglie dorme,
il servo ti conduce a quel concerto:
andrete via venti minuti prima:
per capire che hai perso più del trucco.
Ma non puoi restare abbottonata:
una nerbata in meno più divieni vecchia,
al contrario del pesce che sta al bivio
che pure casto non può morire mai.
Nella tazzina sola due lacrime nere.
La frutta nel vimini è andata a male.
Un vecchio giornale, con diritto,
si chiede impaziente se lo bruceranno.
Il mio gatto mi guarda persuasivo:
“Questo tetto cadente si deve abbandonare.”