Il fornaio di Dachau
La tua casa profumava dell’odore
fragrante del pane sfornato di fresco
e tua moglie aveva una rosa tra i capelli
che infondeva nell’aria il tenero annuncio
dell’estate incipiente al riparo dai clamori
della belva bionda inebriata di sangue
in marcia verso la gloria millenaria.
I tuoi figli correvano incontro
al tenero abbraccio della vita
con la tua solerzia di padre premuroso
a proteggerli dalla ruota assassina della storia.
Poi un giorno il destino ti condusse
nel lager situato a poca distanza
dove la sera i prigionieri stremati
tendevano l’orecchio verso l’eco dei grilli
esili messaggi della campagna vicina
perché nel campo la natura fu muta
come il silenzio attonito di quegli sguardi
che attendevano un cenno lieve dal mondo
ignaro che l’indifferenza ne uccide
non meno di una barbara guerra.
Così diventasti il fornaio di Dachau
e all’inizio neanche avrai fatto caso
alle marce di quegli uomini con il triangolo nel petto
a cui era stato tolto onore e rispetto
per difendere, diceva il folle condottiero
la quiete di quelli come te.
Magari un giorno avrai iniziato a porti domande
per il semplice fatto che sei un essere umano
ma esse non incrinarono il granitico silenzio
che rese così pesanti quei triangoli
di uomini che avevano cenere tra i capelli
e un numero a rendere indelebile
la vergogna dei loro aguzzini.
Il guaio è che fosti uno dei tanti
anche se questo non potrà mai scagionarti
confuso nella nebbia infida della zona grigia
a non vedere il fumo levarsi alto dai camini
per bussare ai confini del cielo
e gridare giustizia contro i più feroci assassini
un fumo in grado di rendere amaro
anche l’odore del pane sfornato di fresco.