Il primo sole di Claretta
Dalla casa dove sono nato e morto scorgevo la gente che, a fine giugno, a poco a poco vestiva più leggera; quello smaltire degli abiti pesanti ridava solarità finanche ai più musoni. Capii da loro che altresì per i travagli sussiste una stagione gelida e turpe, fecondata dal seme misterioso che le consente senza fine di tornare. Un contorno di rombi e di vociare, prelude vacanze meritate o meno e di quel piccolo essere scalciante lasciare un sole che non ha tramonto per godersi quello della sua prima estate. Ma anche tu dovrai vestir pesante e ti riabbronzerai baciata da Nettuno. Io a nessuno concederei a vedere porre in un sacco tutti i tuoi cappotti, affagottarli, cospargerli di stelle, tramutarle in belle ed effimere farfalle. Che mai ti sia permesso solo un sogno, frutto intangibile di quell’empia pianta , compiuto riflesso del bisogno umano. Ché la tua mano possa toccar sostanze da provocare invidia anche agli dei. Presso un cantuccio il mio essere felice taglierà a lembi il mio cuore per cucirli, farne uno scialle di un altro colore e mentre dormi, ti coprirei le spalle.