Il quinto calice libertà mi donò
Giacqui a desinare
a convivio con il mondo
con un bicchiere di nera ambrosia a tutto tondo
che sorseggiai senza indugio alcuno.
Era d’Avola chiamato
quel ruffiano rosso rubicondo!
Ne bevvi un calice per sedar la sete,
ma il pasto squisito
e i commensali di simpatia proba
mi solleticarono per gioire
un altro a svuotarne.
E un altro ancora godimento
subito mi creò,
mentre l’allegria vispa si faceva.
Il pasto il palato m’accresceva
ché d’essere inzuppato bisogno aveva.
Allora il calice dinanzi a me
svuotato ormai
il mio vicino d’un tratto colmò
e a berlo m’invitò!
Ilarità e gioia m’indussero
sua sponte con garbo a tracannare,
e allora il contenuto svuotai
per non far il calice rammaricare.
Quando il quinto calice ingurgitai
la ragione ormai il suo verso
aveva ormai perso,
vincoli non avvertivo,
legami non sentivo,
e un gran dono avvertii:
era la libertà che mai
prima d’allora sentita avevo.