L'avversario
Non furono immagini, raggianti e regali
immagini del reale salutare il mio forte:
il forte di ogni ora rimescolata, nella
siesta o controra della brame assolute.
E trascorsi i secoli in ghingheri
trasecolammo con scheletri tardivi di Musa
antiquata lungo le cime dei monti Tiburtini
invano cercati da mani infantili.
Non cercammo i cuori lacerati e indecisi
né il lieto sapore dei muscoli d'Acciaio.
Sì, immagini, rumori: mai il mio forte,
il vero forte, o panforte della poesia.
Truccata idea dai sensi inquieti
o calpestati singhiozzi nel letto
ospite e ospitale, orinale mentre tendo
l'orecchio alla salita delle scale,
le mani collegiali chiuse e derise
dentro la palma umida, liquida,
vivendo al capestro le sensazioni virginali.
Stanze illuminate, poi. Garbate
ingiurie del vino, ma il giorno è
passato ormai, orfano innamorato
agitandomi in piedi, in ansia: apro
la finestra nel freddo lunare
spio la mortalità terrestre e serale:
tombale silenzio, e noia, noia
calamità naturale del poco amarsi
nel riaccendere la luce
perché svaniscano gli incerti fantasmi
della notte.