La cicala e la formica
Un bel dì,
una formica laboriosa,
da intensa calura estiva affaticata,
incontrò una cicala canterina
che, felice del proprio canto esasperante,
strimpellava una chitarra assai grande.
Stanca e mogia, la formica s'apprestava a rincasare,
col suo carico di roba da mangiare,
prevedendo un rigor invernale infinito
e lo scarseggiar del cibo,
sul terreno dalla neve ricoperto.
Il suo sguardo sorvolò quella cicala,
che suonava e cantava
a più non posso,
al riparo delle fronde,
sotto un pioppo,
a godersi ampiamente la frescura.
"Lascia stare di sudare e camminare,
vieni qui vicino a me...
T'insegnerò a cantare!"
"Canta, canta,
che l'inverno è or alle porte!
Suona e canta quel tuo canto petulante...
Poi non starti a lamentare,
se la pancia resta vuota,
senza nulla da mangiare".
Alquanto risentita,
replicò alfine la formica.
E il gelo venne infine molto presto,
a rivestir la terra
d'un sì candido mantello.
La formica se ne stava nella tana,
al calduccio,
con la scorta di provviste,
a svernare, in attesa del bel sole.
La cicala canterina
non cantava dalla sera alla mattina,
visto che la pancia vuota borbottava,
reclamando perlomeno una cena appetitosa.
Ma, ahimè, senza esser previdente,
nulla aveva messo in serbo,
in attesa dell'inverno tanto freddo.
Triste e in pena,
chiese aiuto alla formica,
che da ospite la prese,
per saziare la sua fame e un consiglio elargire,
affinché smettesse un poco di cantare e di frinire
e più saggia, in futuro, potesse divenire.