La disperazione dell'anima.
…e mi svegliai una mattina d’ottobre
con la pioggia che lavava Genova;
la notte appena trascorsa
non aveva prodotto nulla di buono;
ero sempre un nessuno,
che scriveva poesie,
che nessuno leggeva;
il mio romanzo andava avanti a rilento: 20 pagine in tre mesi;
ricordo di aver pensato al suicidio,
alle guerre e alla sofferenza,
e che sarei rimasto a guidare un camion
per il resto della mia esistenza;
ricordo anche che passando dal corridoio,
mentre andavo in cucina
a preparare il caffè
scorsi una busta sotto la porta d’entrata;
era il mio padrone di casa
che voleva i soldi dell’affitto;
e li voleva subito,
ne aveva bisogno,
era stanco di aspettare;
mi feci il caffè
e lo bevvi;
poi indossai un vestito decente
e scesi di due piani;
suonai, tremando, il campanello del suo appartamento,
e quando egli aprì mi investì come un cane,
come un ladro,
come l’ultimo degli straccioni;
ricordo di aver pensato
alla mia intelligenza
e a quanto lui fosse stupido;
ma in quel momento era Dio,
un Dio cattivo,
che non perdona,
che non capisce,
che non attenderà più;
il suo pavimento accoglieva il mio sguardo,
prono,
vile,
senza dignità;
urlava cose vere,
urlava che ero un fallito,
e che non sarei mai stato nessuno;
e quando gli dissi
che gli avrei dato i soldi tra una settimana,
mi disse che andava bene,
ma che trascorso tale tempo
avrei dovuto liberare l’appartamento;
poi indietreggiai di tre passi
e uscii dalla sua vita.
Ritornai nella mia stanza,
due piani sopra la sua;
continuava a piovere;
mi versai del caffè: era ancora caldo;
scrissi qualche riga ed ascoltai la radio.
Sette giorni dopo,
lasciai i soldi che dovevo, insieme alla chiave d’entrata,
dentro una busta
e la feci scivolare sotto la sua porta.
Era martedì. Un bellissimo sole scaldava le vecchie case dell’angiporto.
Il solito traffico martoriava Cornigliano.
Ancora non lo sapevo, ma per 8 mesi, un camion, sarebbe stato la mia casa.
In via Bagnasco.
Dove c’era posto.
Come quando scrivi una lunga poesia, sull’ultimo foglio che ti è rimasto. Hal