La mia terra che chiama
Un diario in cui mi specchio
il richiamo dei cedri
su questa piazza
imbambolata di essenze non vere,
robusti e impazienti i miei alberi
stanno in attesa, e solo ombre
che l’aria respinge.
Quand’è sera sono una giostra
a luci spente,
se tendo le braccia
un mondo vuoto batte il polso
e io ghiaccio di abbandono
viaggio distante
che fa male allo sguardo,
dilania perfino la pagina.
Porta via montagne sognate
mentre ginestre e occasi
scolorano dentro le nubi
‐ non c’è misura di tanto sparire
a un passo dal cuore.
Alla poetessa Ofelia Giudicissi Curci (Pallagorio 1934 – Roma 1981)