La quercia sradicata dal vento

Nel campo d’una non placabile
idea,
d’una sera che il vento era tutto,
sì, tutto, e mi premeva
col suo gelo verso il più profondo
di quell’idea di quel sogno,
tricosa Gordio
da atterrire il filo della spada.
Nel seno d’energia
di quella inibizione nera
che faceva le cose sempre più
sempre più terra nella terra.
Vedi: troppo vicine le mie stanze
sono a te, quercia: resisti
ora, sull’orlo, sta
anche per tutto il mio
mancare.
[...]
Ti rinvenimmo
attraverso la squallida bocca del giorno,
rovesciata. Nel basso,
empito umbrifero, plurimo,
di calme e aromi che ti spiegavi fin là,
sino alla fonte mai vista del fiume
sino all’infanzia fantastica balbettante degli avi.
Ai nostri abietti piedi
tu ch’eri la vetta cui corre
l’occhio e il tempo al riposo.
E ora il sole allarga aride ali
sul paese svuotato di te.
[...]
Quercia, come la messe
d’embrici e vetri, la dispersione
per selciati ed asfalti
‐ nostre irrite grida, irriti aneliti ‐,
quercia umiliata ai piedi
miei, di me inginocchiato
invano a alzarti come si alza il padre
colpito, invano
prostrato ad ascoltare
in te nostri in te antichissimi
irriti aneliti, irriti gridi.