Le Mie Vite
Quanto oltraggioso può essere il dolore che ti abbraccia col manto torbido di fango e silicio?
Il silenzio del cuore fuggiasco che trascina con suprema perdizione.
Ettore, amor mio, per quanto si poteva presupporre che niente più qualcosa v’era che legasse le anime dei caduti, mi sbagliavo ingenuamente; nei passi notturni qualcosa pulsa silenzioso e tu, magnifico barlume che accende le follie diurne, bruci l’essenza dei perché.
Cosa pensavi accadesse quando, con tanta decisione, prendesti il mio collo e lo tagliasti con una lama ben più che affilata e la cromatica visione di ciò che fu, riflessa nell’arma che tu stesso impugnasti? e quanto amore sprigionasti quando, con tormento, cercasti di ricucire quel legame che spezzato ormai era e che niente più tornò ad essere tutto uguale?
Ceco, ceco ero e ceco sono rimasto; la bellezza inebria più la mente che il cuore e che di cuore ormai più ne abbia se non gabbia, gettato in pasto a quale mare ero finito pur di fuggir da ciò che ciò non era?
Cosa cercava quello sguardo che con le mani brandiva il vento che portava desiderio, speranze, innocenze; speranze che alimentano speranze e il mondo si muove con esse.
Frammenti di vite e di parole, amore mio, non v’è nesso ne concessione; se v’è qualcosa tra lucidità e follia penso l’abbia perso tempo prima.
Ignaro anche di ciò che sto pronunciando, perso in quale mondo sono?
Non lo so ma, suppongo, sia alla deriva del tormento per la millesima volta.
Le solitudini accecanti rendono l’uomo un delitto per mano di se stesso, e in quanti occhi e mani e piedi e nasi ci siam persi per continuare a perderci ancora, e ancora?
Porto felice tristezza da anni, per quanto mi riguarda; sono sopravvissuto così al mondo cattivo, sguazzando nella cattiveria con la mia bontà; ma forse illuso sono quando spero e quindi, dunque, non spero e l’ira prevale, comanda, tiene alta la testa!
Si vive di intuito, si ostenta la vita calpestandola e immergendoci in fluidi mistici di niente e di tutto perdendo il capo consapevolmente.