Lettera a Miguel
Miguel, caro amico.
In questo lungo tempo di solitudine non faccio altro che pensare.
A cosa, mi dirai; beh, sai, quando hai tanto tempo per te stesso, pare che non ci sia nulla da chiedersi o, quanto meno, qualcosa di cui parlare.
E invece ti sbagli, Miguel, ce ne sono ben troppi di quesiti che chiedono risposte come non mai.
Ora sembra che il mondo ti mette contro un’infinità di muri dalle diverse forme, colori,diversa natura.
Sai cosa mi viene alla mente, Miguel?
Quando si correva per quei prati verdi con tanta spensierata voglia di scoprire, di conoscere, di sentire.
Poi ripenso a quando presi quel treno e partii alla ricerca dell’ignoto vivere, lontano da tutti gli affanni e gli affetti, lontano dalla casa che mi aveva cullato per anni in cerca di case che mi avrebbero accolto pieno delle mie tristezze e delle mie gioie, ma sopratutto delle mie bugie.
Quando guardo indietro, mi chiedo sempre se ho fatto le scelte giuste o, quanto meno, cosa sarei diventato se non fossi mai partito o cosa sono ora, una volta andato.
Credo che questa lunga solitudine sia una sorta di attesa interiore, quella linea sottile che c’è tra il “ho fatto” e “cosa farò”, non credi Miguel?
Tu come stai? Come te la passi in quel nulla che io non so?
Vorrei tanto riabbracciarti, bere del buon vino ad un tavolo in osteria in centro, due risate, racconti, novità tue e di altri.
Discutere su quale musica sia la migliore in serate del genere, brindare all’anno nuovo che sarà, a sognare, a morire dentro ogni parola di quel che eravamo.
Eh, si, Miguel… questa solitudine sembra sia un cappio, pronta a stringere il collo, si trasformata in un giudice, una ripresa di controllo.
Cercavo un pò di pace e invece vedo tutto questo come un castigo!
Ah, che deplorevole che sono; dovrei abbracciare questo tempo come un dono di Dio, sicuramente.
Alla fine, il tempo si prende gioco di noi; crediamo ti tenerlo per la cinghia ed invece è lui che tiene al guinzaglio noi; ci deride, ci schernisce, crea giochi per farci impazzire e difficili soluzioni alle quali arrivare.
L'attimo prima siamo pronti a tutto pur di sfuggire alla routine, al conosciuto, al solito ombreggiare o illuminare, e l'attimo dopo, quando ti viene tolto tutto, lo rimpiangi, lo ridesideri.
Quando hai tutto, dovresti vedere quanto non si ha niente; quando non hai niente è più facile sognare di voler avere tutto.
Ciò che vuol dire, amico? Siamo realmente padroni della nostre vite? delle nostre cose? della nostra libertà? possiamo averne sempre il controllo?
Il possedere ciò che abbiamo sarà davvero sempre nostro?
Quante domande, impazzisco se iniziassi a scrivertele tutte; poi perderesti il filo, poi ti annoieresti, poi mi eviteresti. Sicuro.
Miguel, spero questa lunga solitudine possa chetare il mio animo e che possa, un giorno, portarmi da te più fiorito e meno tumultuoso.
Chissà se potrò rispecchiarmi di nuovo nei tuoi occhi e se tu, per qualche gioco del destino, ti riunissi al mio, amico caro.