Mezzogiorno
Gli ulivi s’inclinavano al passaggio:
bande di tronchi plurisecolari
carnevali di rami d’argento
ferivano l’aria nuova di carta da zucchero
la scottavano di vecchiaia condannata a figliare
ci specchiammo nella calce, lattea e fitta, dei vicoli snodati del passato
noi soldati bianchi alla deriva nei labirinti della memoria
noi sabbia elementare tra pennellate di carparo barocco
una piazza ci restituì la quiete, quell’altra il sole
“Tu non conosci il Sud”, leggo Bodini bruna a bordo spiaggia
“Noi siamo il Sud”, rispondi tu sgranando occhi normanni
che nome, Mezzogiorno! il dardo luminoso perpendicolare,
la luce che sfianca, sbianca e rallenta
l’arte di fermarsi – da quando è diventata un’arte, da quando?
e i contorni si smarcano nella dodicesima ora
mentre il pizzetto si dilegua tra i banchi del mercato
qui cercarono di chiudere il cerchio in un castello:
otto lati otto torri otto stanze – la precisa geometria
di un messaggio cosmico. Numeri e proporzioni in terra
per carpire al cielo il suo mistero, stanare la corrispondenza:
l’umana sciocchezza del terreno stupore
dammi la mano, stringimi il polso, trasfondimi:
nuotiamo là, in mezzo ai dialoghi
che continueranno dopo di noi.