Non è stato che un sogno
Non è stato che un sogno a vergare le ossa, un dolore piccino che ora muove da solo e rinuncia come petalo steso sconfitto sul ventre dal guadagno del sole.
Non avevo nel petto altro che il desiderio di un gemito sordo, fosse anche malato in ginocchio
o confuso
negligenza di un vivere che si piega al dolore del vento.
Ora nego quegli occhi, davvero li nego, mentre canto al disordine il luogo dove sosta è smeriglio di onde, mentre accendo i miei fari noiosi sul carteggio del giorno
e assomiglio a mia madre che parla di piante perenni che non scendono mai a carezzarle le pene più bionde.
Tu sei stato, e il sogno addolora perché aveva il riflesso smaltato di chi cerca quell’oro sulle mani vestite che si accendono ancora a disegnare la sabbia strappata dal mare e a rotolarmi granelli,
oro mare di parole perdute, oro vento come il punto impreciso che ti ha visto arrivare, dritto al dolore, dritto al silenzio, zitto dell’acqua che svelto portavi e una goccia, una sola, ma era per me.
Marzo 2006