Novantacinque
Che sappiamo del dieci in cui scegliemmo?
Che forse era di mercato, di mani sulle stagioni
nelle ceste, che un feretro sarà sbocciato dal sagrato
ed una culla riempita da un corpo sull'altro,
che era infilzato in mezzo ad altri nervi, mentre
l'autunno versava in barella con la speranza fasciata.
Che un tarlo veniva dalla pagina a fare mobilia,
ad arredare futuri amplessi.
Si uccide presto il giorno quando si alza la sera,
la sera che è vento, battuta senza infrazioni dopo
la bella, rossa frattura del pomeriggio.
E quanto conta il pomeriggio?
Forse poco: se è giuntura fra fermo e morte,
non nasce niente.
Ma del nostro pomeriggio dico è un anello:
non voglio più il giorno, che aspetti pure la sera.