Ondina e il Mare
L’avevano seguita, cacciata lesta lesta
con le gambine d’acqua in rivoli smontate,
l’oltraggio era quel sole denso, un’ambasciata
di sudore
che le piegava la riva di coraggio sulle dita.
Trovava il Mare ad ogni sogno, seduta sporca in sale,
i suoi capelli mesti, l’origine dei mali suoi negati
sotto una rampa, una corrente che scemava netta,
la vista dei suoi piedi verdi mutati in meraviglie,
il gioco degli anemoni ingabbiati.
Sotto la sabbia ancora, tenuto ai denti il suo bagaglio di
Tridente, come un serpente assottigliava i pomeriggi,
bolle la vita nera immaginata oltre il suo confine.
Quando lo vide si confessava ancora principessa, sparsa la pelle viva
in grate d’ombra, smemorate.
Sotto il suo seno il mormorio di quelle guglie d’acqua,
i sassolini sparati dalle piene.
Quando lo vide non era notte fonda, si accartocciavano le foglie
rese, smaniosa lo catturò di suoni, il braccialetto un’alga
come pece ombrosa spalmata sulla strada.
Si tirò su il vestito d’acqua, lui la copriva sentendosi castello
senza ventre, lei lo baciava senza saperlo ancora
lo inghiottiva.
Mare, al dominio d’isole, veniva senza steli, senza quel fiore
bruciato sulla giacca dalle comete di pestilenze buie, il bavero sommesso.
Lei lo cantò, canzone innamorata sopra le corde secche alla criniera,
come un leone lui s’impietosiva dei suoi occhi.
E fu un amore, rostro tagliente il vetro d’acque in vortici di fame.
E fu l’amore, allora, la sua fusione lenta che scioglieva.
Fu la paura che giostrava, il ghiaccio stretto di un passaggio
tra due lune.
Prese una piega il Mare, una soltanto.
Parete d’acqua, l’estasi di Ondina.
12 luglio 2007