Perchè tentar la lira?

Quando con la biro in mano o battendo i tasti,
dimentico del Croce e credendomi  poeta,
o se assennato  qual mero scribacchin di versi,
su vuoti spazi di carte virtuali o vere
i miei pensieri inchiodo, i ricordi, le speranze
del passato tempo, dell’oggi o del futuro,
mi domando spesso: “Perché tormenti
i bianchi o gli elettronici fogli? Perché
li righi, li graffi, a qual pro lo fai, quale perché?
Chi vuoi che legga le tue fantasie, gli  attimi,
i sogni i frammenti di una vita solo tua?
E se mai lette chi ti  potrà  capire o compatire?
Sarà  il tuo dolore  deriso e forse  poi schernito?
Saranno le  tue gioie lì impresse  come fole viste?
A chi importa sai se tu un tempo  amavi Caia
e quella non t’amava, se per la morte di Rufus
il gatto tu piangevi e se nel veder quel giorno
il tal monte di pace e di silenzi ti nutrivi?
Se ieri  lei t’amava e or non ti ama più?
Sarebbe allora buttar via la biro più saggio
come pur per sempre  non sfiorare i tasti?
Se di poetar smettessi o meglio di  versi scribaccare
di certo non piangerebbe quella musa cara ad Ermes
sia essa Calliope, Euterpe oppur la giovane Talia!
Perché in questo artifizio arduo insisto? Lo spiego,
primo: guai se per vanità scrivessi sì sarebbe triste!
Anche ad un badilante qual io sono e non orafo
di versi accade qualche volta quel momento:
“ Est deus in nobis agitante calescimus illo!”
Se poi nessun leggesse le mie nugae poco male:
quei  miei pensieri, quelle illusioni, quei rimpianti
rimarrebbero non smossi e fissi come nati,
lì su quei fogli a man vergati o da lento ticchettio,
quindi  negletti e solo a me  legati, sì, solo miei!
Così sarebbe anche se taluno lì soli li lasciasse
dopo uno rapido sguardo e alquanto  indifferente
ma se agitando quei fogli con un dito o con la mano
qualcuno li strappasse da questi e vi ridesse
o peggio vi sputasse sopra nessun  rancore,
per lui vari sentire solo e contrastanti:
lieto  per averlo mosso al riso e allo sberleffo
più lieto per una vita, la sua , di certo, bella
vissuta  lieve e senza affanni ma triste sarei
pure per lui per quel suo spazio vuoto
di rimpianti, di sussulti e  di emozioni.
Ai pochi  che un poco in me visti si sono
e  conoscono o  hanno conosciuto se non
con  Caia con Calpurnia o con Sempronia
quei sentimenti strani e opposti dell’amore,
a chi ha capito il  pianto per l’amico gatto
ed è  gioioso della gioia data dagli  spazi
ampi e dai silenzi che nascono dai monti,
un grazie quale sprone a ritentar la lira
quale che sia dei critici il giudizio per cui
un caldo arrivederci una volta riscoccata la scintilla!