Quattro Cento cinquantacinque

Il canto di un grillo meccanico,
allarme dimenticato, risuona dai piani
senza ascensore. Il lugubre rintocco
smezzato dalle finestre accostate, si
insinua con il corpo di un gas
e mi raggiunge. Non sapevo come finirmi,
se con la bocca slabbrata dal silenzio o con
le vene disossate dai polsi.
Allora ho pregato che mi arrivasse
un aiuto, un giorno come mannaia,
un orario per cappio.
E adesso che mi amalgamo in questo
corteo cereo  e buio, adesso che le promesse
sono mantecate al disprezzo, trovo un mio
ricciolo nella minestra: il naufrago arranca,
poi affonda. Nulla di me va salvato.
Lo sforzo stipato piuttosto in cantina
fra un rosso pasticcio di uve e
budelli ripieni di bisestili mattanze.