Quattro Cento Cinquantasette
Di azzurro l'iride, puerile gallinella,
sioux di mare che beccheggia l'aia
ristretta della pupilla. Asserragliata
quest'ultima, isolotto e isolata,
capocchia di spillo ammaccata.
Di azzurro tutta questa distesa
allargata tra i cunei delle montagne,
saliscendi di oscure nazioni di alberi,
militanti chiome e radici in sobillazione.
E che? Un fiocco? Quella spumosa
coccarda che sta tronfia alle porte,
agli usci, alle bocche dei condomini?
Come a dire: qui dentro c'è un premio
che starnazza e schiamazza, tutto infagottato,
dalla placenta al saltimbanco bollente
dei corredi ansiosi di colore. Tenero ed
indifeso, affamato marsupiale.
Dimenticavo: e di rosa? Di rosa
un'urna di fard e biglie da collana.
Ma niente che penzoli ai pensili,
che sporga dal davanzale e gridi
il segreto che trattenevano buone
le gambe. Di rosa una voglia sotto
il seno, una chierica in mezzo alla
carne che non mi fa santa e
non mi fa mamma. I miei figli
sono morsi e dettagli, richiami
o reliquie, somiglianze, interpretazioni,
disagi, disguidi. Una rigida, ostile
condanna che come sboccia il parere
a scagionarmi dal veto, ad incidermi
l'imbuto ritorto, ecco che subito
trova l'inghippo e la vidimazione alla mia acerbità.