Quattro Cento Novantadue
Non sono da ribalta: il mio palcoscenico
è la fossa da suggeritore, lì dove posso
appendere la voce alla faccia altrui
e dire che ho detto bene, senza
vedermi. Io con le ginocchia timide
e le mani sopra, le rotule nascoste,
i palmi come maschere.
Così non si ha mai colpa,
non si ha mai volto.
E poi mi guardano, ma io non so guardare:
quando tiro dai loro occhi il mio
riflesso, quello è molesto come il capello
nella pancia a giorno di una pietanza.
Il nocciolo di quel tuffo che inorridisce
ed imbarazza, io lo correggo e, sfilandolo,
me lo riporto addosso, cercando il buco
a cui è sfuggito e nel cuoio
la falla da cui è scivolato.