Quattro Cento Ottantacinque

Il mostro è nato con me.
Facevamo sempre colazione insieme:
ho creduto all'inizio fosse un'ombra
il peso perennemente declinato
sulla mia spalla. Irregolare la coniugazione
dei miei giorni sotto la sua stella turgida
e nera. Nevo da cosmo, ingrugnito e
spento. Il mostro frequentava il mio sterno:
con le mie gambe ha fatto passi da gigante,
col bacino torsioni e piroette.
Non sarebbe però mai dovuto arrivare
il lunedì in cui, spolverando la mia età
dallo specchio, l'ho visto finalmente
riflesso: un neon in apnea, una freccia
nell'ampolla, un ago nella neve.
E scacciarlo è stato vano:
nella cornice entrava tutto ed a suo agio,
eseguendo a memoria le mie mosse
e respirando con il calco dei miei polmoni.
Così, pur spostandomi, me lo trascino
sempre addosso, come fanno i pazzi
che,  voltandosi, urlano a se stessi
di non seguirli più e quasi tutti 
i cani braccando  la propria coda.