Quattro Cento trentaquattro

La fine, occhio robotico, e' computerizzata , tappezzerie d'acciaio, singhiozzi di vortici meccanici e l'iride in off. La morte e' mora e senza bacca, un fanale che abbaiava alla notte reciso da un sasso. Uno stelo accecato dall'abbraccio della falce , sterminio di corolle, placenta dei campi staccata anzitempo. Altrove il liquido amniotico irrora i bulbi , le calve semenze abboccano all'irsuto lombrico delle radici: e' maschio il frutto, femmina la foglia, solido il fusto, robusta la ramificazione. Speriamo che cresca, e più alto di quello vicino, più alto di ieri. E che non contragga i parassiti di compagni di classe ,che svetti sempre più verde. Più bravo. Quanto mancherà all'autunno e'sempre scritto nel tronco: la mano sudata di vento già dice la pioggia, ma dove stanno in cerchio gli anelli la sposa e' senza anulare . Tra i vermi un moncone di sughero riceve preci, dente spezzato, lapide marchiata dall'hula hoop dello spietato, nero compasso.