Poesia
Quattro Cento Venticinque
Questo demonio non sfebbra e sale la china delle nostre dita con l'urgenza di un rigurgito secco, innaturale salasso che sugge iniettando, falena intabarrata fra la tenda della sanezza esibita ed il vetro delle nostre ossa agitate a lutto. A lungo portiamo selvaggio un eccitato verro fra il palmo e la pagina, schizzo senza recinto votato ad accrescere la fame con cui ci affama, nero oracolo a cui porgiamo le mani ed il feto di ogni parola. Pregando che il nascituro somigli prima di ogni altro a quell'instancabile seme cangiante.