Ritorni (a Carmen)

Ora
che sono solo
con me stesso,
mi sento
molto più umano,
perciò divino. La mia vita,
chiara,
mi scorre nella mente come dovessi
morire stasera
alle 23 e 10.
Mi è chiaro
di questa vita l'inizio,
un milione d'anni
fa, con mia moglie
che mi si stringe addosso
e non mi da
fastidio la sua puzza
di capra, ma l'adoro. E adoro
l suoi lunghissimi capelli
neri che m'avvolgono
e scaldano e scacciano
le paure in fondo al buoi, oltre la roccia
che sbarra la porta ai mostri
della notte ed ai loro urli.
Morirò stanotte
alle 23 e 10
e mia moglie – la stessa d'un milione
d'anni fa ‐ mi morderà
la mano e coprirà
coi suoi capelli...
Lascio di me un piccolo
messaggio in una bottiglia,
una poesia, una stella
frantumata. Frammenti
d'una divinità che mi sopravviverà,
barlumi
d'una divinità intravista,
ma inenarrabile
come medusa che la luce
disveli e sciolga. Ho amato
da morire
e questo basta. Talora
sono stato riamato.
Voglio divenire la foglia marcia che nutrirà
la vite della prossima vendemmia.
Qualcuno, senza saperlo, berrà
il mio vino, come io ho bevuto
ai calici generosi
dei padri che mi hanno preceduto,
ed amato e nutrito.
Qualcuno bevendolo, scoprirà
che non era poi
così difficile volare,
e l'insegnerà
a qualcun altro, semplicemente,
con amore, poco prima di partire
o, forse,
di tornare.