Roghi effimeri
Rosso incendia fuochi di papaveri in roghi effimeri
giù per la valle esausta di un verde immobile inesprimibile
e la finestra della stanza sul davanti resta chiusa con le tendine al vento
e il granturco si apre dorando l’aria sotto il sole di giugno.
La notte è nascosta nel fienile dove un vecchio copertone
racconta le sue mille miglia a stivali consunti e polverosi.
Su questa pietra, all’ombra delle nostre anime inquiete, riposiamo
gli sguardi attenti allo scorrere delle nuvole e dei rondoni
e si smarrisce il tempo e il tepore della sera alita una brezza
leggera e non siamo più qui, non siamo su questa isola d’erba,
in questa dolcissima prigione di foglie bagnate di rugiada,
dove grilli e cicale si parlano fitto fitto in un brusio assordante.
Le mani conoscono i loro percorsi e profuma di pelle la terra,
la luce ha scacciato ogni più piccola ombra e tracciato il confine
all’inesprimibile concretezza del sogno, un sogno d’africa
che profuma di savana e barrisce, sibilando, ruggendo, svanendo,
mentre gli sguardi sfiniscono gli ultimi incendi in tramonti infuocati
e stormi di fenicotteri rosa addolciscono il rosso del cielo.