Scrivere una poesia
Sembra facile
l’incomponibile.
E la metrica,
nemico ostico, irriducibile.
Chi può dire ho scritto una poesia?
Un bambino, forse,
portatore sano di cinismo,
erogatore di incauto ottimismo.
Nell’età del presente non sei mai ripetente,
ti è concesso di scrivere perfino da assente,
puoi sporcare d’inchiostro il passato remoto,
puoi dipingere nel vento il futuro e l’ignoto.
Ma.
Se vivi non scrivi, se gridi non ridi, se piangi non mangi.
Forse,
la poesia è uno stomaco chiuso
si nutre di nausea, ne fa abuso,
è un bicchiere vuoto, pieno d’aria,
è pane secco, inzuppato dentro a un’idea rivoluzionaria.
Quando credo di avere composto una poesia
poi mi rido dietro tutto il giorno umiliandomi di presunzione,
tanto prendendomi sul serio mi incenserei soltanto d’illusione.
E’ che credo, a tutto, che è come non credere a niente
e, come dice Faber, non può nascere un fiore da un diamante.
E in quel mettere giù parole, snocciolandole distrattamente in rima,
scorgo tutti i miei progetti di una vita, in attesa di essere approvati
da una commissione interna chiamata autostima.